Il rendiconto condominiale e le regole per la sua redazione con particolare riferimento ai debiti relativi agli esercizi precedenti e alla possibilità di revisione dei rendiconti già approvati in passato.
La disciplina relativa al rendiconto condominiale, in base alla normativa vigente (radicalmente modificata rispetto al passato, per effetto della riforma introdotta con la legge 220/2012), è contenuta nelle seguenti disposizioni del codice civile:
– l’art. 1130, sulle attribuzioni dell’amministratore, che: al n. 1) prevede che l’amministratore deve convocare l’assemblea annualmente per l’approvazione del rendiconto condominiale; al n. 7) stabilisce che l’amministratore deve curare la tenuta del registro di contabilità (che può essere tenuto anche con modalità informatizzate), nel quale devono essere annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita; e al n. 10) impone all’amministratore di redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e di convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni;
– l’art. 1130-bis, dedicato specificamente al rendiconto condominiale, ai sensi del quale deve contenere le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l’immediata verifica, e deve essere composto da un registro di contabilità, un riepilogo finanziario e una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.
La normativa vigente appena riassunta nelle sue regole principali comunque non prende in esame tutte le situazioni di rilievo, nonostante sia più dettagliata rispetto al passato.
Si presentano in proposito alcuni importanti problemi come quelli, fra l’altro, del principio (di cassa o di competenza) con cui deve essere redatto il rendiconto, dell’imputazione delle somme pregresse e dell’approvazione di un rendiconto senza prendere in esame pure la situazione finanziaria relativa al periodo precedente; e alcune risposte al riguardo possono essere tratte dalle decisioni giurisprudenziali.
Il contenuto del rendiconto condominiale
L’ordinanza n. 20006 del 24 settembre 2020 della Corte di Cassazione costituisce la più recente decisione che ha esaminato in modo sistematico le problematiche del rendiconto condominiale.
Come per altri casi analoghi precedenti, la pronunzia ha avuto origine dall’opposizione di un condomino nei confronti di un decreto ingiuntivo notificato dal condominio in relazione all’ultimo rendiconto, il cui consuntivo faceva riferimento anche a morosità relative a gestioni pregresse; il condomino che aveva presentato l’opposizione al decreto ingiuntivo, tuttavia non aveva impugnato anche la delibera con cui era stato approvato il rendiconto e questa omissione ha avuto un effetto decisivo sull’esito dell’opposizione. In primo grado infatti l’opposizione è stata rigettata con decisione poi confermata nel giudizio di appello, nel quale era stato appunto evidenziato che il condomino che aveva subito l’ingiunzione non aveva impugnato la deliberazione di approvazione del rendiconto che era corredato da tutta la documentazione relativa alla sua situazione debitoria e che per questo motivo non rilevava il fatto che la morosità oggetto dell’ingiunzione e contabilizzata nel consuntivo si riferisse anche a gestioni pregresse.
Il successivo ricorso per cassazione ha denunciato l’erroneitò della sentenza di secondo grado, perché aveva riconosciuto alla delibera, in base alla quale era stato richiesto il decreto ingiuntivo, la valenza di “titolo di credito” anche con riguardo alle gestioni pregresse; ma la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.
Nella sua motivazione la Suprema Corte ha formulato un quadro completo degli aspetti che connotano la materia.
Innanzitutto, va tenuto presente che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che ha per oggetto il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa il suo onere probatorio con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti, come affermato da Cass., sent. 29 agosto 1994, n. 7569; e il giudice dell’opposizione emette una sentenza favorevole o meno, in base al fatto che l’amministratore sia in grado di dimostrare la fondatezza della domanda, nel senso che il credito sussiste, è esigibile e il condominio ne è titolare. Con la conseguenza che la delibera condominiale di approvazione della spesa costituisce titolo sufficiente del credito del condominio e legittima, oltre alla concessione del decreto ingiuntivo, anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio di opposizione, il cui ambito è limitato alla verifica della perdurante esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere, come affermato da Cass., Sez. Unite, sent. 18 dicembre 2009, n. 26629 e Cass.. sent. 23 febbraio 2017, n. 4672, e il giudice deve accogliere l’opposizione solo nel caso in cui la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per effetto della sospensione della sua esecuzione da parte del giudice dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, cod. civ., oppure perché questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione, anche se non passata in giudicato, abbia annullato la deliberazione, come affermato da Cass., sent. 14 novembre 2012, n. 19938 e ord. 24 marzo 2017, n. 7741.
La Corte ha poi ricordato che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, per effetto del disposto degli artt. 1135 e 1137 cod. civ., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall’art. 1137, comma 2, cod. civ., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità, dal momento che non è consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non tramite una impugnazione della delibera (Cass., sent. 31 maggio 1988, n. 3701; sent. 14 luglio 1989, n. 3291; sent. 20 aprile 1994, n. 3747 e sent. 4 marzo 2011, n. 5254). Per questi motivi l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, per effetto della vincolatività tipica dell’atto collegiale stabilita dall’art. 1137, comma 1, cod. civ. fa insorgere l’obbligazione – e quindi ne determina anche la prova – in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese ordinarie per la conservazione e la manutenzione delle parti comuni dell’edificio, come ha affermato Cass., sent. 5 novembre 1992, n. 11981; e peraltro, dopo che il bilancio consuntivo viene approvato con la maggioranza prescritta dalla legge, l’amministratore, per ottenere il pagamento delle somme che risultano dal bilancio stesso, non è tenuto a sottoporre all’esame dei singoli condomini i documenti giustificativi, dal momento che questi ultimi devono essere controllati prima dell’approvazione del bilancio e non sussiste la possibilità di attribuire ad alcuni condomini la facoltà postuma di contestare i conti, rimettendo così in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza, come affermato da Cass., sent. 23 maggio 1981, n. 3402.
Dopo l’esame degli aspetti processuali, la Suprema Corte è passata ad esaminare la disciplina relativa al rendiconto condominiale, riguardo al quale l’art. 1130-bis cod. civ. prevede che deve contenere “le voci di entrata e di uscita” e quindi gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto alle relative manifestazioni finanziarie, nonché “ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio”, con indicazione nella nota sintetica esplicativa della gestione “anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti”, avendo riguardo al risultato economico dell’esercizio annuale. E la Corte ha precisato che, per il rendiconto condominiale, trova applicazione il “principio di cassa”, secondo cui i crediti vantati dal condominio verso un singolo condomino devono essere inseriti nel consuntivo relativo all’esercizio in pendenza del quale sia avvenuto il loro accertamento (come si argomenta da Cass., sent. 4 luglio 2014, n. 15401) con la seguente modalità: dopo che vengono inseriti nel rendiconto di un determinato esercizio i nominativi dei condomini morosi nel pagamento delle quote condominiali e gli importi da ciascuno dovuti, queste morosità pregresse, qualora siano rimaste insolute, devono essere riportate anche nei successivi anni di gestione, dato che esse costituiscono non solo un saldo contabile dello stato patrimoniale attivo, ma anche una permanente posta di debito a carico di quei partecipanti nei confronti del condominio. Dal punto di vista operativo la Corte ha precisato che il rendiconto condominiale, in forza di un principio di continuità, deve partire dai dati di chiusura del consuntivo dell’anno precedente, a meno che l’esattezza e la legittimità di questi ultimi non siano state escluse da una sentenza passata in giudicato, perché solo in tal caso l’amministratore ha l’obbligo di apporre al rendiconto impugnato le variazioni imposte dal giudice, e di modificare di conseguenza i dati di partenza del bilancio successivo; e non si può invocare in proposito il limite della dimensione annuale della gestione condominiale, che vale ad impedire invece la validità della delibera condominiale qualora, in assenza di una determinazione unanime, vincoli il patrimonio dei singoli condomini ad una previsione pluriennale di spese, come affermato da Cass., sent. 21 agosto 1996, n. 7706.
In applicazione di quanto esposto finora, la Suprema Corte ha tratto la conclusione che il rendiconto consuntivo per successivi periodi di gestione che, nel prospetto dei conti individuali per singolo condomino, riporti tutte le somme dovute al condominio, comprensive delle morosità relative alle annualità precedenti, dopo che è stato approvato dall’assemblea, può essere impugnato ai sensi dell’art. 1137 cod. civ.; ma che invece, in mancanza di impugnazione, esso stesso costituisce un idoneo titolo del credito complessivo nei confronti di quel singolo partecipante, pur non costituendo “un nuovo fatto costitutivo del credito” stesso (Cass., sent. 25 febbraio 2014, n. 4489).
Sulle modalità di predisposizione del rendiconto è utile ricordare una sentenza di merito che riassume in modo sistematico i termini della questione (Trib. Roma, Sez. V, sent. 2 ottobre 2017, Giudice Ghiron) nel modo che segue:
– il rendiconto, predisposto dall’amministratore, risponde all’esigenza di porre i condomini in condizione di sapere in quale modo sono stati effettivamente spesi i soldi versati;
– il bilancio non deve essere redatto in forma rigorosa, dal momento che non trovano diretta applicazione, nella materia condominiale, le norme prescritte per i bilanci delle società; ciononostante, per essere valido, il rendiconto deve essere privo di vizi intrinseci e deve essere accompagnato dalla documentazione che giustifichi le spese sostenute e inoltre deve essere intellegibile in modo da consentire ai condomini – che generalmente non hanno conoscenze approfondite in relazione alle modalità con cui un bilancio deve essere formato e “letto” – di poter controllare le voci di entrata e di spesa anche con riferimento alla specificità delle partite, dato che quest’ultimo requisito, come si desume dagli artt 263 e 264 cod. proc. civ. che prevedono disposizioni applicabili anche al rendiconto sostanziale, costituisce il presupposto fondamentale affinché possano essere contestate le singole partite;
– il rendiconto da sottoporre all’approvazione dell’assemblea non è un semplice documento contabile contenente una serie di addendi, ma un atto con il quale l’obbligato giustifica le spese addebitate ai suoi mandanti e quindi vi sono delle regole minime che debbono essere rispettate;
– il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato secondo il principio di competenza, ma secondo quello di cassa; e l’inserimento di ciascuna spesa va pertanto annotato in base alla data dell’effettivo pagamento, così come l’inserimento dell’entrata va annotato in base alla data dell’effettiva corresponsione; infatti la mancata applicazione del criterio di cassa inficia il bilancio sotto il profilo della chiarezza e in modo specifico, dato che non rende intelligibili e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino, non consente di evidenziare la reale situazione contabile, con la conseguenza che un consuntivo (redatto in base al principio di cassa), qualora sia stato approvato dall’assemblea senza essere improntato a tali criteri e, quindi, in violazione dei diritti dei condomini, può essere dichiarato illegittimo (Cass., sent. 9 maggio 2011, n. 10153);
– il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettive per il periodo di competenza, consente di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune; e laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa che di competenza (vale a dire indicando in modo indistinto, insieme alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate, senza distinguerle fra di loro), i condomini possono facilmente essere tratti in inganno se non sono indicate in modo chiaro e separato le poste o non trovino riscontro documentale;
– nel bilancio devono sempre essere indicati (con possibilità di facile riscontro documentale) la situazione patrimoniale del condominio e gli eventuali residui attivi e passivi, l’esistenza e l’ammontare di fondi di riserva obbligatori (come, per esempio, l’accantonamento per il trattamento di fine rapporto del portiere) o deliberati dall’assemblea per particolari motivi (come, ad esempio il fondo di cassa straordinario); e la situazione patrimoniale deve rispettare il prospetto approvato nella gestione precedente in modo da verificare la possibilità di un’eventuale “scomparsa” di somme di danaro;
– il criterio di cassa consente altresì di fare un raffronto tra le spese sostenute ed i movimenti del conto corrente bancario intestato al condominio: a ciascuna voce di spesa deve corrispondere un prelievo diretto a mezzo assegno o bonifico sul/dal conto corrente condominiale;
– per consentire ai condomini di apprezzare e valutare il bilancio, l’amministratore deve indicare ed inviare ad ogni condomino un elenco delle spese sostenute (con data e causale dell’importo) già diviso per categorie secondo il criterio di ripartizione (come spese generali, acqua riscaldamento ecc.), l’indicazione delle quote incassate dai condomini e quelle ancora da incassare, l’indicazione delle spese ancora da sostenere, le eventuali rimanenze attive (fondi, combustibile ed altro) ed il piano di riparto che indichi per ogni condomino e per ogni categoria di spesa il criterio di riparto e la quota a suo carico, come viene previsto dall’art. 1130-bis cod. civ.;
– la mancanza di tali indicazioni, che conferiscono certezza e chiarezza al bilancio, oppure la presenza di elementi che ne inficino la veridicità come l’omissione o l’alterazione dei dati (per esempio sugli interessi dei depositi) determina l’illegittimità del bilancio stesso che si estende alla delibera che l’approva e che è oggetto di contestazione.
Peraltro, con riferimento ad un caso in cui l’assemblea non aveva approvato il rendiconto relativo ad un esercizio, ma aveva autorizzato all’unanimità – con delibera non impugnata – l’amministratore a richiedere ai condomini i conguagli che risultavano da esso in attesa dell’approvazione del consuntivo e di conseguenza l’amministratore, riguardo ad un condomino che non aveva provveduto al pagamento del dovuto, aveva riportato a debito, nel rispetto del principio della continuità dei bilanci, nel consuntivo relativo ad un esercizio successivo, la somma non corrisposta, la Suprema Corte con la sent. 31 marzo 2017, n. 8521, ha ricordato il principio di diritto secondo cui nessuna norma codicistica detta, in tema di approvazione dei bilanci consuntivi del condominio, il principio dell’osservanza di una rigorosa sequenza temporale nell’esame dei vari rendiconti presentati dall’amministratore e relativi ai singoli periodi di esercizio in essi considerati, con la conseguenza che è legittima la delibera assembleare che (in assenza di un espresso divieto concordato mediante un apposito patto al momento della formazione del regolamento contrattuale) approvi il bilancio consuntivo senza prendere in esame la situazione finanziaria relativa al periodo precedente, perché i criteri di semplicità e snellezza su cui si deve fondare l’amministrazione condominiale consentono, senza concreti pregiudizi per la collettività dei comproprietari, pure la possibilità di regolarizzazione successiva delle eventuali omissioni nell’approvazione dei rendiconti, come già affermato da Cass., sent. 13 ottobre 1999, n. 11526 e sent. 30 dicembre 1997, n. 13100.
Va infine tenuto sempre presente che, come è stato affermato con riferimento all’impugnazione proposta da un condomino contro la delibera con cui l’assemblea – sulla base di quanto deciso da una sentenza del Tribunale di accoglimento di una precedente impugnativa di delibera – approva la revisione dei bilanci condominiali degli anni precedenti già a suo tempo regolarmente approvati, l’assemblea condominiale è pienamente legittimata ad adottare una delibera di questo tipo, dato che non è ravvisabile alcuna contrarietà alla legge o al regolamento (Cass., sent. 6 dicembre 2011, n. 26243).